“Il sociologo detenuto” Una storia etnografica

“Il sociologo detenuto” Una storia etnografica

[…] Errori giudiziari? Giustizia all’ingrosso? Uso spregiudicato dei collaboratori di giustizia? Complotto giudiziario-politico? Difesa inadeguata? Vendetta andata fuori controllo? Un mix di tutto questo, probabilmente, può spiegare i venticinque anni finora trascorsi nelle carceri italiane da Alessandro Limaccio. Per arrivare a condannare un innocente basta spesso uno solo di questi ingredienti.
Conviene essere colpevoli se si è condannati col fine pena mai. Almeno un modo per sottrarsi all’ergastolo c’è, anche se spesso non è praticabile perché si rischia di mettere in pericolo i propri famigliari: ‘‘pentirsi’’, diventare cioè collaboratori, dando nomi e informazioni utili ai giudici per le loro indagini. In realtà un modo sicuro, infallibile, ci sarebbe, eccome, ed è la Costituzione, che all’articolo 27 dice che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ma uno che è stato condannato senza aver commesso il fatto, estraneo per di più all’ambiente in cui il delitto si è consumato, di che cosa può pentirsi? Che nomi e che informazioni può fornire, che servigio può rendere alla Giustizia? La Giustizia italiana, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha quindi a maggior ragione il dovere di trovare una via d’uscita per il Sociologo detenuto, che non solo non ha alcuna possibilità di ‘‘collaborare’’, ma che mai chiederà clemenza. Il dovere, ma anche la convenienza, perché il caso Limaccio sta ormai diventando imbarazzante. Per trarsi d’impaccio si faccia aiutare, il DAP, dalla Corte Costituzionale, applicando la recente sentenza che ha rimesso mano al cosiddetto ergastolo ostativo pronunciandosi a favore della possibilità di ottenere permessi premio. Si faccia aiutare dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, adeguandosi subito al suo recente pronunciamento con cui ha bocciato l’ergastolo ostativo, perché viola l’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, l’articolo che vieta «trattamenti inumani e degradanti». Si faccia aiutare dal Presidente della Repubblica, questo Presidente della Repubblica, facendo in modo che arrivi sulla sua scrivania una richiesta di grazia per iniziativa di chi in tutti questi anni ha avuto il privilegio, dall’interno del mondo carcerario, di essere testimone di una dignità, una forza e un equilibrio fuori dal comune. Un riconoscimento che sia anche riconoscenza per il lavoro svolto come sociologo, per i dati preziosi raccolti in queste pagine.
[…] Dopo più di cinque lustri, il Sociologo embedded in quella periferia del mondo che è l’universo carcerario italiano ha bruciato ogni record di durata di un’inchiesta etnografica sul campo, tutta vissuta in comunione con la sua gente, come facevano certi missionari-antropologi dei secoli scorsi. È ora di chiudere il capitolo, perché c’è un tempo per ogni cosa. Con questo libro, offerto alla comunità scientifica, agli addetti ai lavori, ai suoi compagni e alla società civile, missione compiuta.

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